Cronaca

Suicidi in divisa, uno ogni cinque giorni tra Carabinieri e Polizia. Casi in crescita dopo la tregua Covid

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  • Uno ogni cinque giorni. Tanti sono i suicidi che vedono protagonisti uomini delle forze dell'ordine. Da inizio anno, sono già stati diciotto. E il trend è in aumento. Nel 2020, sono stati cinquantuno. Nel 2021, cinquantasette. Numeri che hanno spinto il deputato di Forza Italia Roberto Novelli a presentare una mozione alla Camera per chiedere «al Governo di fornire i dati ufficiali, di monitorare il fenomeno e le sue cause e soprattutto di adottare misure immediate ed efficaci per fermare questa onda terribile che da anni si abbatte sulle nostre forze dell'Ordine». Insomma, per portare in primo piano l'emergenza e indagare i suoi numeri. Anche alla luce della pandemia.

    Sì, perché nel 2019 i casi sono stati addirittura sessantanove. E la causa del successivo calo di vittime sarebbe proprio da ricercare nel periodo di lockdown per il Covid. «Durante la fase pandemica - spiega Alessandra D'Alessio, responsabile Psicologia Militare del Nuovo Sindacato Carabinieri - ho notato che tanti sono andati in convalescenza, alcune patologie latenti sono emerse e molti hanno preso un periodo di riposo. È come se la pandemia li avesse fatti sentire autorizzati a prendere una pausa. E anche chi ha lavorato, specie nel lockdown, ha visto diminuire la pressione. L'aumento, che notiamo oggi, nel numero di suicidi, di fatto, segna una sorta di ritorno alla normalità». Da qui l'esigenza di intervenire. E presto. Anche perché il dato di suicidi in divisa è decisamente più alto di quella della popolazione italiana, e vede al primo posto i carabinieri. Cifre alla mano, il tasso di suicidi ogni centomila persone, oscilla tra 6,5 e 7,2 nella popolazione, ma passa tra il 9,65 del 2015 e il 26,82 del 2012 per i Carabinieri. Negli ultimi tre anni, secondo l'Osservatorio suicidi in divisa, si sono verificati 55 casi tra i Carabinieri, 36 nella Polizia di Stato. «Trattandosi di vite umane, occorre intervenire con soluzioni efficace e rapide - commenta Novelli - Siamo di fronte a persone in situazioni di fragilità che hanno anche un'arma a disposizione per farla finita. Prima di tutto, bisognerebbe ampliare il servizio psicologico e provvedere a una rete esterna di professionisti. Uno dei problemi, infatti, è che molti hanno timore di confrontarsi con gli psicologi interni al Corpo, per le possibili ricadute in termini di carriera».

    Varie le cause. «Le ragioni che spingono al suicidio sono molteplici - spiega D'Alessio - e ci deve essere anche una predisposizione ad agire. Quando un militare manifesta problemi psicologici, gli vengono tolti tesserino, pistola e manette, a scopo precauzionale. Questo però può farlo sentire privato della sua identità». L'intervento, quindi, rischia di aggravare la situazione. «Il fenomeno deve essere discusso, gli strumenti attuali non sono sufficienti. L'impegno ora è a calendarizzare rapidamente la mozione - annuncia Martelli - farò il possibile affinché questo avvenga presto, magari già nella prossima seduta».

    Suicidi nell'Arma dei Carabinieri, Zetti: «Servono psicologi esterni, c'è paura dei superiori»

    Il numero più alto di suicidi si registra nell'Arma. Massimiliano Zetti, segretario generale Nuovo Sindacato Carabinieri, come si spiega questo fenomeno? «Siamo la forza armata con il più alto numero di appartenenti. E la disciplina è rigorosa. Quando si verificano suicidi, spesso nell'Arma ci si affretta a dire che non sono maturati in ambiente lavorativo. Le cause possono essere diverse certo, le problematiche possono essere di natura personale, sanitaria, debitoria e via dicendo, ma certe volte se anche nell'ambiente di lavoro le cose vanno male, diciamo che è la goccia che fa traboccare il vaso. Una sanzione disciplinare non sarà la causa ma può essere la scintilla».

    Come si può intervenire? «I carabinieri, ma anche i poliziotti, non si fidano degli psicologi interni al Corpo. Occorre pensare a una rete di professionisti esterni. Rivolgersi allo psicologo è difficile e, spesso, quando ci sono problemi, i colleghi vengono privati di pistola e tesserino, e poi mandati a casa, dove sono soli. Questo non migliora, di certo, la situazione».

    Dovrebbero rimanere in servizio?

    «Sì, con altre mansioni, magari svolgendo lavori d'ufficio. Chi ha un problema psicologico non deve essere isolato, facendolo così sentire abbandonato, è fondamentale anzi che rimanga accanto ai suoi colleghi». 

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